La Scuola classica romagnola

La Scuola classica romagnola è ... quella tradizione culturale che prende avvio nella seconda metà del Settecento, con l'attività di Vincenzo Monti, e si protrae sino al primo quindicennio del Novecento, con la morte di Renato Serra.

L'appellativo di "scuola" non viene adottato solo "nel senso di scuola poetica, autorizzata dalla lezione del Monti e dello Strocchi, ma anche nel senso di un vero e proprio discepolato diffuso, della trasmissione scolastica di determinati precetti di lingua, di stile, di poetica, di retorica, di versificazione, latina ed italiana".

Tra i maggiori esponenti della Scuola, quasi tutti maestri di eloquenza, oltre ai già citati Vincenzo Monti e Dionigi Strocchi, troviamo Pellegrino Farini, Giulio Perticari, Paolo Costa, Antonio Saffi, Jacopo Landoni, Giovanni Della Valle, Domenico Chinassi, Giuseppe Ignazio Montanari.

Il Carducci fu vicino ai principi di tale Scuola, se poteva affermare che

è questa del rinnovamento classico una forte e nobile scuola [...]: ella, gran segno di temperamento artistico, ha spedito e sicuro il movimento del pensiero e nervosa e netta la espressione". Soprattutto la apprezzava perché questa "utile e rispettabile scuola [...], contrastando la rilassatezza dello scrivere ingenerata dagli sfibramenti del pensare e del vivere, contenendo l'invasione del francesismo, mantenne e restituì salvo in parte all'Italia il tesoro della favella.

Citato e adattato dal sito Internet della Commissione per i testi di lingua

 

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Dionigi Strocchi
Nasce a Faenza nel 1762. Studia nel locale Seminario Vescovile, già frequentato da Vincenzo Monti, assieme al fratello Andrea, che diventerà sacerdote. Egli invece nel 1783 si trasferisce a Roma, dove si laurea in giurisprudenza. Grazie a Quirino Visconti si dedica allo studio delle belle lettere, in particolare la Commedia di Dante, e si accosta al Cesari nel culto dei trecentisti. Nel 1790 è nominato Scrittore di Lettere Latine presso il Sacro Collegio. Tornato a Faenza nel 1797, aderisce alla Repubblica Cisalpina, ottenendo importanti incarichi e grandi onori. A Milano rappresenta la sua provincia tra gli elettori del Corpo legislativo e in seguito viene nominato commissario. Dal 1806 al 1809 è professore di eloquenza e rettore al Liceo dipartimentale di Faenza e ricopre nella sua città l'incarico di vice-prefetto. Nel 1819 riceve da Giacomo Leopardi una copia delle sue prime due Canzoni, accompagnate da queste parole, scritte "riverentemente e umilmente": E forse V.S. Si dovrà pentire d'essersi fatta nota e famosa in tutt'Italia, ricevendo questa presente e il libricciuolo che l'accompagna; il qual fastidio non le avrebbe potuto sopravvenire se il nome suo non andasse per le bocche degl'italiani, e così venendo necessariamente alle orecchie mie, non avesse commosso il desiderio vivissimo ch'io porto da molto tempo di conoscere e riverire, potendo, colla persona, e quando no, almeno con lettere e cogli uffici che si costumano fra lontani, quei rarissimi ingegni che sostenendo in questa misera età l'ultimo avanzo della gloria italiana, danno speranza di vederla fors'anche per loro aiuto riaversi e tornare in fiore. La sua mancata risposta, come anche la fredda accoglienza degli altri classicisti bolognesi, getta nel panico il contino e suscita lo stupore di Giordani: "mi pare impossibile che il gentilissimo Strocchi ti manchi". Con il ripristino dello Stato Pontificio, Strocchi si rifugia a San Marino ed è per un breve periodo imprigionato a Bologna. Tra il 1815 e il 1830 resta "lontano dai pubblici negozi". Vive tra Faenza e Bologna, dove collabora all'Accademia dei Felsinei e frequenta assiduamente il salotto di Teresa Carniani Malvezzi. Tra il 1837 e il 1842 è docente di eloquenza presso il Collegio dei Nobili di Ravenna. Nel 1846 compone un inno per l'elezione al papato di Pio IX e nel 1848 è nominato senatore. Negli ultimi anni vive a Bologna e Ravenna, dove muore nel 1850. È sepolto nella Cattedrale di Faenza per volontà del Municipio. Amico di Monti, di Ugo Foscolo e Paolo Costa, Strocchi ha fatto parte di tutte le maggiori Accademie d'Italia, compresa quella della Crusca. E' considerato tra i maggiori esponenti della scuola neoclassica. Il catalogo delle sue opere comprende circa 120 titoli, tra inni, madrigali, odi, elegie e sonetti. La sua fama è però legata, più che alla sua produzione poetica, all'opera di traduttore dal latino e dal greco. La sua versione degli Inni di Callimaco fu stimata da Carducci più bella dell'originale. Molto apprezzate furono anche le traduzioni delle Georgiche e delle Bucoliche di Virgilio. Alla volgarizzazione dei testi antichi dedicò anche due saggi teorici dal titolo Della traduzione.